Napoleone era grande, si sentiva grande e voleva far valere la sua grandezza. Non che sognasse l'impero, ma aveva quella grande ed indeterminata ambizione che fa sognar l'impossibile; quella gioja della coscienza, che nella vita si fa procellosa, e l'intolleranza d'un tal uomo costretto ad ubbidire a chi disprezza.
La procellosa e trepidaGioia d'un gran disegno,
L'ansia d'un cor che indocileServe, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premioCh'era follia sperar...
Quella «follia» è il rilievo del genio: il suo scopo era così alto da parer follia anche per Napoleone. «Tutto ei provò»: si svolgono i punti poetici della vita, aggruppati intorno ad un solo pensiero.
Viene il terzo Napoleone: due secoli che duellano, i grandi uomini della rivoluzione ed i grandi uomini della reazione gli si sottomettono. L'ultima immagine è poetica e plastica; Napoleone sta con la calma d'un giudice fra loro.
Ei si mostrò: due secoli,
L'un contro l'altro armato,
Sommessi a lui si volsero.
Come aspettando il fato;
Ei fé silenzio, ed arbitroS'assise in mezzo a lor.
Fin qui l'ode è epica. Ma avete mai udito un accompagnamento di violino frammischiarsi ad una musica rimbombante, finché a poco a poco non la superi? Questo Napoleone sparisce, è imprigionato e tradito. Il poeta diviene tenero:
Ei sparve, e i dì nell'ozioChiuse in sì breve sponda,
Segno d'immensa invidiaE di pietà profonda,
D'inestinguibil odioE d'indomato amor.
L'effetto è nelle semplici parole, nell'ozio «in sì breve sponda», mentre l'universo gli era stato angusto.
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