Vi sta poi a contrapposto la negazione di ciò in don Rodrigo, l'antagonista di padre Cristoforo, e nell'Innominato, antagonista del Borromeo. Poi c'è tutto questo sistema in caricatura: don Abbondio. Centro di tutto è Lucia, l'idea còlta nella sua purità, nello stato verginale che non ha coscienza di sé.
Don Abbondio è un essere che non è ancora «individuo»: non siamo ancora in un terreno intellettuale. È un personaggio che ha certe forze, certi fini e certi mezzi, è un obietto fisiologico. Noi dovremmo cercare quale la natura lo fece, e qual fu l'indirizzo delle sue azioni. Ma io non lo fo, perché ciò è stato già fatto in modo incomparabile dall'Autore stesso, con tanta evidenza che toglie il volere di farlo ad ogni altro.
Voi tutti conoscerete don Abbondio, ché nessuno v'ha di voi che non abbia letti i Promessi Sposi; conoscerete don Abbondio che chiama saviezza e conoscere il vivere del mondo la pusillanimità. Don Abbondio è ancora l'oggetto che cerchiamo: ancora non siamo nell’arte, poiché il Manzoni lo decompone a forza d'astrazione, e la critica geniale vera rimane a farsi, di comprenderlo cioè e sentirlo. Noi dobbiamo in lui cercare l'oggetto poetico. Cos'è dunque don Abbondio? Io potrei dirlo un «fantasma», ma è una parola. È forse l'oggetto della storia? Ma allora a che si riduce l'arte? È l'oggetto quale lo dà la natura e la storia, ma che entrato nella fantasia ne esce coll'impronta speciale che v'ha messo la fantasia medesima. L'oggetto poetico ha anch'esso un storia, e come si forma in un'epoca non è lo stesso di quando si forma in un'altra, ed a ciò appunto corrisponde la storia del pensiero.
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