Nell'epoche mitologiche il pensiero non s'interessa al reale e forma un tipo a lui conforme, e l'oggetto è riprodotto in sintesi, a modo dantesco: poi, come il pensiero non s'innamora del reale che non conosce, così vi cerca l'idea sua, che è ciò che si dice l'«ideale», e l'operazione si chiama «idealizzare». Nell'epoche critiche, quando la realtà è stata scavata per tutti i versi e le nozioni fisiologiche diventano cosa di tutti, il poeta non si può sottrarre, e cerca scrutare le forze che formeranno l'oggetto, e ne crea l'idea, non preconcetta, ma psicologica di esso. E il pensiero nell'arte moderna si presenta analizzato, e il poeta cerca l'ideale dell'oggetto nella sua costruzione.
Qui giova che io vi noti come la nostra letteratura moderna presenti tre caratteri. Uno «accademico», che non è in corrispondenza col pensiero moderno. Uno «ideale» (dalla seconda metà del secolo [XVIII], che prepara il Risorgimento dell'Italia: ideale troppo giovane per avere una compiuta realtà e che ha un riscontro nello scarno di Alfieri, e nel rettorico della Teresa nell'Jacopo Ortis. Il «reale», il «vero» è moderno. Il Manzoni si rivela poeta moderno, e preso dalla curiosità dei naturalisti, vi trova nell'oggetto la sua idealità, il don Abbondio. Nell'arte moderna l'ideale è il ritrarre.
A chi non è venuto talvolta dinanzi agli occhi un prete, un curato di campagna, che passeggiando legga l'uffizio, quieto, pacifico, che vuole esser lasciato vivere in pace, così come don Abbondio vi si presenta?
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