» strascicato, quasi gli paresse strano, non che impossibile, che il cardinale potesse cercare di lui. Si alza e va, e ascolta che bisogna andare a pigliar Lucia coi bravi al castello dell'Innominato, che si è convertito; e fa una smorfia. È una nuova situazione più ricca: vi sono due forze, la paura indeterminata e la poltroneria. Se don Abbondio consulta la ragione, questa gli dice che l'Innominato è convertito. Ma in lui v'è l'immaginazione svegliata dalla paura; vede l'Innominato cupo e armato di carabina, vede i visi abbronzati, i baffi irti dei bravi e gli pare che vogliano dire: - Facciamo la festa a quel prete - . In lui v'è la ragione che capisce e l'immaginazione che non capisce, e se la piglia con sé e con Perpetua che volle che andasse a far riverenza all'Arcivescovo. L'Autore lo paragona ad un ragazzo vicino ad un cane mordace che il padrone accarezza chiamandolo buono, ed egli non sa dire di no, ma vorrebbe andar via. Qui il carattere comico sta in ciò, che allora quando don Abbondio ha paura, nasce una contraddizione fra il mondo come lo vedeva lui e come appariva lì. Avete in caricatura lo sviluppo della situazione nel monologo. Volete vedere questa idea caricata di un riso spropositato? [Don Abbondio andava sulla mula, che, seguitando l'uso di tali animali, si teneva sempre sulle prode dei precipizi]. Don Abbondio vedeva il precipizio sotto di sé ed invano cercava di trar colla briglia l'animale in mezzo alla strada, e diceva rivolgendosi angosciato alla mula: - «Anche tu!
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