È reminiscenza di Tancredi che va per battezzare Clorinda ancora a lui ignota, eppure, quasi per presentimento, trema; e quando scioglie l'elmo riconosce la sua donna. Tasso non ha avuto bisogno della cagna con quel che segue. Paragoniamo ciò che è nel Tasso con ciò ch'è nel Grossi, per vedere la mano del maestro e quella dello scolaro, e perché possiate apprendere la differenza che passa tra il grande ingegno e il mediocre.
Nel Tasso tutto procede tranquillamente, il sentimento è anzi trattenuto sí che scoppia all'ultimo:
Poco quindi lontan nel sen del monteScaturía mormorando un picciol rio.
Questo interessarsi anche del rio, è prova di quanto io diceva.
Egli v'accorse, e l'elmo empié nel fonte,
E tornò mesto al grande ufficio e pio.
Mesto giá annunzia qualche cosa di nuovo, di doloroso.
Tremar sentí la man, mentre la fronteNon conosciuta ancor sciolse e scoprio.
Notate ch'egli non dice solamente: Mi balza il cor, che è il fatto nudo e grezzo.
La vide, e la conobbe; e restò senzaE voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
La profonda impressione che deve fare la situazione creata dal poeta, non è scemata o impedita da mezzi artificiali esteriori. Quel restò è un accento fuori regola ed esprime a meraviglia un momento di stupore in cui pare come se un fulmine cascasse addosso a Tancredi.
Vedete ora che sostituisce a tutto questo il Grossi.
Oh Dio!... m'illuser, o il mio nome udiro?
È un movimento transitorio che dovrebbe essere soppresso nell'impeto della commozione, come richiede la situazione.
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