Rimane la solitaria, la derelitta, un formidabile monologo interrotto qua e lá da brevi dialoghi per l'intervento di una giovane che fa qui l'ufficio del confidente delle tragedie classiche, divenuta monaca anch'ella per cagioni analoghe. È una situazione interamente lirica.
Tutto questo giá ci conduce alla terza parte, e non sono che quattro: siamo quasi alla fine e non abbiamo avuto che linee generali, antecedenti del racconto che si potevano riassumere in una pagina. Dov'è che il racconto comincia a muoversi?
L'amante, in procinto di partire per Terra Santa, cerca trafugare la monaca: giungono a porsi d'accordo. Una notte Ildegonda fugge dal monastero e incontra Rizzardo in una grotta. Ma suo fratello conosce tutto perché ha corrotto il servo dell'amante, sono sorpresi, succede una breve mischia. Rizzardo è incatenato, accusato di eresia e condannato a morte, la monaca rinchiusa nel monastero.
La giovane ferita, abbandonata dalle altre monache, rimasta sola col suo dolore, per punizione è messa in un sotterraneo. C'è ne' sotterranei un oggetto che si presta molto al fantastico, la famosa lucerna. Ogni giorno una monaca velata va nel sotterraneo a portar da mangiare alla fanciulla, fornisce d'olio la lucerna e va via. Perché questa prigionia? Per introdurre nella novella quel tale fantastico, per rendere tollerabile a' lettori del secolo XIX una visione come se ne aveano nel Medio evo.
Ciascuno di noi quand'era fanciullo,
Nelle paure della veglia bruna,
come dice il Manzoni, ha veduto il famoso lenzuolo sempre unito con la fantasima, che apparisce specialmente ne' cimiteri e nelle torri.
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