Anche oggi scrivonsi leggende; ed alcune ne ha scritte con molta evidenza un bravo giovane calabrese, giorni innanzi me ne capitò un'altra di un altro bravo giovane. Si scrivono mettendo come supposizione la veritá di esse, non guardando che al sentimento estetico. Il Grossi vuole di piú, vuol rendere ragionevole la leggenda, vuole che noi sentissimo sul serio tutto quel misticismo e quel fantastico che nel Medio evo era naturale ed a noi pare grottesco. E perciò sbaglia.
Mentre la donzella legge la cronaca, il vento fa cigolare la porta che si schiude lentamente: ella, giá disposta al fantastico, si alza all'improvviso rovesciando la lucerna, e rimane al buio. Vede ad un tratto una fiamma, in mezzo a cui è un'anima dannata coi capelli ritti e gli occhi stravolti. Ma questo è nulla. Dalla bocca le esce una lunga coda di serpe che batte sulla sua faccia e la graffia. L'anima tira per la coda il serpente, avviene una lotta: il serpente, giunto fino al ventre, fischia terribilmente, e dalla bocca del dannato esce sangue:
E bava gialla, venenosa e bruttaDalle narici fuor manda col fiato,
La qual pel mento giú gli cola, e lassaInsolcata la carne ovunque passa.
Tutto questo armeggío per renderci concepibile sí strana e grottesca visione.
Ildegonda rimane con gli occhi fissi sulla larva, questa si avanza pian piano verso di lei. La fanciulla guarda, guarda e le pare di vedere Rizzardo, e poi Rizzardo trasformato in demonio. Perde la ragione, fugge pei corridoi, giunge ad un parapetto e si getta giú, per l'altezza di otto braccia, dice il poeta; se non muore è che c'è dello strame lí sotto che ammorza l'impeto della caduta.
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