Credete che basti? L'autore vuol portare il fantastico fino all'ultimo momento del patetico. La giovane rimane svenuta, il dí appresso le suore la cercano e non la trovano, girano di qua e di lá, finalmente la scorgono, la fan risentire, ed ella urla come belva, morde come cagna, si dibatte come arrabbiata: la legano con funi e la conducono nella cella. Č il delirio che giunge fino alla rabbia. Come finirá?
Ci vuole il Deus ex machina, che raddolcisca la situazione e produca la soluzione. Ildegonda rimane tre settimane in un sotterraneo incatenata. Finalmente la badessa si muove a pietá e le manda l'amica che le parla con dolcezza, le ricorda la madre, la famiglia, un non so che di dolce entra in quel cuore esulcerato, riacquista il senno, ma rimane malata gravemente, consunta e morente. Domanda un confessore. Qui c'č naturalmente una lotta tra l'amore per Rizzardo e il sentirlo morto come eretico. Ciň che sconvolge la sua immaginazione non sono le pressure esterne del monastero, ma quella lotta interna, il doversi dire: amo, ed amo un eretico: Rizzardo sará dannato ed io con lui.
Questa io chiamo tragedia interna. Quando un uomo confida ne' suoi sentimenti, di patria, per esempio, di libertá, ed appunto per questo č oppresso e calpestato, egli oppone sé stesso agli ostacoli esteriori, la sua anima, quell'immagine che ha dentro di sé; ma quando il contrasto č nell'anima sua, allora la tragedia interna scoppia. Questo č il pathos dell'Ildegonda, il contrasto tra l'amore per Rizzardo ed il sentimento religioso.
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