Francesco de Sanctis.
Il passaggio dal Manzoni al Grossi sembra un progresso ed è una degenerazione. Sembra un progresso, perché la scuola ci sta piú chiara, piú conseguente, con un nome nuovo - il Romanticismo - con caratteri e tendenze nuove - il fantastico ed il sentimentale - e nondimeno è una degenerazione, perché tutto ciò è esagerato, è fuori della realtá.
In Manzoni il nuovo è cosí contemperato con l'antico, cosí signoreggiato dal genio del poeta, cosí fuso coi lineamenti e coi caratteri della letteratura nazionale, che, pel suo andamento tranquillo e sicuro, dá quasi l'immagine di una letteratura passata in consuetudine. Il nuovo in Grossi è tutto ad angoli e punte, a movimenti irregolari, come quelli d'un cavallo che non senta piú la mano imperiosa del suo domatore. È in lui un mondo fantastico e sentimentale tolto al Medio evo; ma nel Medio evo è quella la forma ordinaria di concepire e di sentire, e perciò l'andamento è riposato, tranquillo, a contorni precisi. Trasportato nel secolo XIX da un autore che si sente appartenere a questo secolo, che ha il modo di concepire e di sentire moderno, per acquistare fede innanzi a lui e innanzi ai contemporanei scettici e increduli, diventa febbrile, delirante, confuso, pieno d'ombre e fantasime, con un sentimento malato che rivela una sensibilitá impressionabile, facile alle lagrime e perciò caricata in tutte le sue tinte. Nel Medio evo era un mondo naturale dell'arte, qui è artificiato ed importato.
I protagonisti del Grossi son donne, tutte come nate ad un sol parto, fatte tutte su d'un solo stampo.
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