Sparisce l'Ortis e viene un'altra creatura, Ermengarda. È non un dramma o un racconto, ma una sola scena; tutta la vita di Ermengarda è nella sua morte, vive poeticamente quando muore. La fa morire quell'amore che non può strapparsi dal cuore, lo stare in convento, aspirare a vita celeste, e non poter cacciare dall'animo il profano, il terreno. La parte divina di quella scena è che la donna non confessa il contrasto ch'è in lei e che l'uccide; ma dopo breve dialogo, la scena finisce in un canto lirico, il quale esprime in modi pudichi ciò che dal labbro di lei non può uscire. Se Ermengarda è una creatura riuscita, se lascia profonda impressione, è ch'ella, come un'apparizione, dopo brevi movimenti drammatici svapora in un movimento lirico e musicale.
Grossi ha voluto prendere quest'Ermengarda lirica, e farle una storia, un dramma; non ha compreso che ciò significa appunto sviluppare come collisione quello che è appena accennato nel canto lirico dell'Ermengarda.
Al Grossi sembra profanare la gravitá e la solennitá religiosa delle sue creature, dare troppa importanza a quell'amore, al terreno. È un elemento che appena comparisce, accennato in leggeri lineamenti, rimane astratto. Volendo fare il dramma, toglie la prima condizione perché una creatura sia drammatica, il contrasto. Nell'Ildegonda, per esempio, non si sviluppa mai quella fiamma che la consuma. La creatura di Grossi piú ricca, piú piena di varietá nella vita, è la Giselda, di cui vi dissi la storia. Ciò che costituisce la sua ricchezza è l'ebrietá dell'amore, amare il figlio del sultano ancorché musulmano, seguire renitente lo zio, fuggire all'amante.
| |
Ortis Ermengarda Ermengarda Ermengarda Ermengarda Ermengarda Grossi Ildegonda Grossi Giselda
|