Infine, rimase sole,
«la fanciulla non potè resistere piú alla materna preghiera; e con molte parole, spesso interrotte da lacrime e da scuse, raccontò la sua passione per quel giovine, la promessa, il giuramento ch'egli le aveva fatto, i dubbi, il timore...
La buona Caterina amava tanto la figliuola, che non ebbe pure il pensiero di farle il piú piccolo rimprovero, perché si fosse abbandonata ad una innocente sí, ma incauta inclinazione. Invece la compativa, e procurava, con certe sue ragioni, di consolar quella fede e quell'ingenua aspettativa, ch'erano quasi la vita della sua Maria. Cosí la conoscenza di questo segreto, se non valse a scemare, parve almeno far piú leggiero, col disviarlo, il dolore delle due disgraziate: poiché è un'arcana pietá del cielo che nutre il conforto della fiducia ne' momenti piú gravi dell'affanno, e rivolge a consolazione d'un cuore travagliato quelle stesse memorie che a un cuore libero sarebbero troppo molesto peso».
Ecco quella divina situazione in che modo è resa prosaica, superficiale dall'autore. Non ne ha visto che la parte esterna, non tutto quello ch'è in una fanciulla innocente, la quale la prima volta è costretta a svelare ciò che ha nel cuore ed a cui la sua lingua non ha ancor dato nome.
Angiola Maria gitta gli occhi su d'un manoscritto del fratello, che era allora in carcere. Trova alcuni versi del vice-curato, legge:
Apri, o Dio, la ferrea stanzaChe non s'apre al mio lamento:
Scendi a me nel gran momentoChe rinnova la speranza!
Su la bocca scolorita,
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Caterina Maria Maria Dio
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