Avemmo dunque un movimento liberale dal trenta al quarantotto; cioè la libertá era in ciò che il freno era un po' allentato; la fisonomia delle cose rimaneva reazionaria. Anche in Lombardia, nel Piemonte, nella Toscana c'era la reazione; ma lí l'elemento che la maneggiava era laico e colto, e quindi non si opponeva direttamente alla coltura. Certo osteggiava una coltura troppo radicale, e quelli che volevano scrivere liberamente andavano fuori come fece, per esempio, il Tommaseo; ma s'incoraggiava una coltura moderata, specialmente se intinta un po' nell'acqua santa e se accennasse a conciliazione coi retrivi, a guerra contro i piú avanzati. Da noi la reazione non solo fu contro la coltura liberale d'ogni genere, ma contro la coltura in sé stessa, e la societá, che trova sempre parole espressive per qualche speciale situazione, non senza ragione, chiamò quelli tempi di oscurantismo.
Una maggiore larghezza si ebbe certamente, non potendosi reprimere un'attivitá giovanile che cercava il suo posto nella societá. Per darvi un saggio del modo come si viveva allora, vi narrerò un aneddoto. Un anno nell'Iride, la rivista della gente colta napoletana, apparve un articolo del Puoti, una traduzione dal greco, dove si narrava un fatto noto a tutti che studiano i greci, un amore poco matrimoniale. Il caso volle che insieme con la traduzione fosse stampato un articolo del bravo Mariano d'Ayala, allora uffiziale. Era un episodio dell'avventura di Murat al Pizzo, scritto con tutte le cautele necessarie sotto un governo cosí sospettoso.
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