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      Vi era detto in ultimo che tutti quelli del Pizzo, nominati cavalieri per la morte di Gioacchino, vollero a loro spese innalzare una statua a Ferdinando IV, maggiore del vero, come si dice in linguaggio artistico di ciò che oltrepassa le proporzioni naturali. Capitò la rivista in Corte. Si menò scalpore del volgarizzamento dal greco, pensandosi che avrebbe potuto andar tra le mani delle principesse; non credendosi obbligati a conoscere il linguaggio tecnico, capirono che il D'Ayala dicesse la statua superiore a' meriti di Ferdinando IV. L'Iride fu proibita, Mariano d'Ayala cadde in disgrazia.
      Chi vuol conoscere la coltura di quel tempo, non ha che a prendere l'Iride, dove si davano convegno gli uomini colti di tutte le opinioni. Vi sono prose e poesie. Che sono quelle prose? In generale, racconti storici che danno segno d'un nuovo indirizzo. Nel secolo XVIII, se guardate le prose, trovate erudizione greca e latina, pochi segni di serii studii sulla storia moderna: i giovani non avevano in corpo che Roma e Grecia. Indizii di progresso sono questi racconti non solo di cose moderne, ma di fatti locali, napoletani. Ma che merito hanno?
      Il racconto è alla storia quel che la novella al romanzo. È un'epoca, un fatto speciale, un personaggio divenuto argomento dello studio d'uno scrittore. Stampavano di questi racconti molti, come Giuseppe de Cesare, il D'Ayala, Scipione Volpicella, Michele Baldacchini, il quale ne scrisse, tra gli altri, uno su Masaniello. Mi rincresce dirlo, ma non vi si vede traccia dell'iniziativa di Carlo Troya: c'è insufficienza del contenuto storico, quantunque piacessero per la forma accurata, elegante, o, come si diceva a que' tempi, pura.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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