Nel prologo dell'Errico giá troviamo questa nuova forma.
Diceano i vecchi, ed io fanciullo m'eraEd ascoltava con attento orecchio
Le parole che uscian dalle lor labbra,
Peṛ che in quelle era un disdegno amaroDell'etá nostra; elli dicean codardi
I lor nipoti che patian le offeseInvendicate, e non correano all'ira
Che la chiusa vendetta affida ai brandi.
E ben nell'etá loro era gagliardaLa virtude che inulto unqua non lascia
Il talamo tradito o la mancataFede di amico che con falso accento
All'amico giuṛ calabro petto.
Giudice del suo dritto era ciascunoE geloso custode, e sopra l'ara
Dei domestici Dei stendea lo scettro,
Ed in mezzo ai suoi pari era monarca.
Guai chi toccarlo osava!
E delle ascose,
Che le madri educar, vergini castoTardi fioria l'amor; balda la fronte
Non s'ergeva dei figli e il cuor superboAl cospetto de' padri, e nullo osava
Giovine o vecchio, per costume, in altriAlzar la mano temeraria o il guardo.
Tema ed alterna stima era catenaChe frenava le menti ed il rispetto
Dell'uno a l'altro, a tutti era sicuraArra di pace.
Ed i vegliardi austeri,
Che avean narrata quell'etá di affettiFeroci e d'alme generose, in questa
Vivean de' lor nepoti etá men cruda,
Rimembrando l'antica, e nel mio pettoVersavan l'onda de' passati eventi.
Ed innanzi vedea quasi di larveUn popolo passarmi.
Sono le prime impressioni di lui giovanetto, quando sentiva narrare i fatti de' suoi antichi. Sotto quelle impressioni la sua immaginazione si scuote, si sente poeta.
Ed io con quelleMemorie valicai gli anni miei primi,
| |
Errico
|