..... è lo spaventoChe di contro mi siede; egli mi affisa
E m'agghiaccia le vene, ed il Rimorso
Squassa la face delle furie, e m'ardeConverso in zolfo il sangue.
E segue una situazione spinta tant'oltre che rasenta il ridicolo:
Io scendo, io scendoSempre piú giú... non veggo il fondo... io muoio!
Manca il respiro; ah! chi mi aita? Io sonoDannata eternamente, io son perduta!
È un'immaginazione che talvolta oltrepassa sé stessa.
Non vi parlerò, dunque, di questi difetti di composizione, e dell'esagerazione ch'è nel lavoro, ove la vita umana spesso non si riconosce. Comunque, nel Mauro vedete il poeta di quel tempo, dalle piú sincere impressioni, dalla piú viva e calda immaginazione.
Questo, piú o meno, è il genere dei lavori della scuola calabrese, la quale degenerò al contatto della scuola romantica convenzionale di Napoli. Per vedere come ciò avvenisse, bisogna riprendere l'Iride.
[Roma, 19 e 20 gennaio 1873.]
VII
LA LETTERATURA A NAPOLI
(Continuazione)
Settima lezione del prof. Francesco De Sanctis.
Domenico Mauro, come avete saputo, moriva a Firenze lo stesso giorno e quasi nell'ora stessa che io vi parlava di lui. Avendo esaminato lo scrittore, mi permetterete che ora vi dica qualche cosa dell'uomo. C'è una tomba scoperchiata, un altro nome onorato della vecchia generazione sparisce, e dietro l'Errico è qualche cosa piú importante del poemetto medesimo.
L'Errico fu pubblicato nel 1845, e poco dopo il giovane autore, avendo preso parte al movimento de' liberali calabresi, era messo in prigione.
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