I suoi occhi scintillavano, batteva il pugno sul tavolo, parea rivivesse in quelle dispute e scordasse la sua miseria: - perché era il piú povero degli emigrati, e tale era la sua dignitá, che riusciva impossibile, anche ai piú familiari, fargli accettare qualche cosa co' mezzi piú ingegnosi. Dopo egli sparve, erasi dato al lavoro, perché fu di quegli uomini che mentre la mediocritá mena rumore, non si fanno sentire e si trovano sempre innanzi ne' momenti piú decisivi.
Viene l'ora, Garibaldi salpa per la Sicilia, ricomparisce Domenico Mauro; è uno de' mille, combatte a Calatafimi, a Milazzo, viene a Napoli con Garibaldi vittorioso. Dopo - sono le piccole miserie della vita, e quando sarete uomini ne vedrete di molte - dopo, mentre ciascuno domandava il premio della vittoria, in mezzo a tante cupidigie ed a tanta gara d'impieghi, dov'è Domenico Mauro? È sparito: è tornato alla sua solitudine.
Il suo posto fu nel pericolo, non nell'ora della ricompensa. Compiuta la Rivoluzione come uomo che non avesse a far altro, si ritirò dal mondo, e questo si ritirò da lui, perché il mondo è quasi come la donna, di memoria labile, se vista o tatto non la raccende, come dice Dante.
Ora Domenico Mauro è morto in Firenze in mezzo a piccolo cerchio di amici, e di lui lieve vestigio è rimaso. Vi spiegherete meglio questo, quando vi avrò dato un ultimo tratto del suo carattere.
Era un uomo semplice, che non parlava mai di sé; stimava naturali tutte le azioni che il mondo chiama eroiche, quasi egli non sapesse o non potesse fare altrimenti.
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