Vi spiegai i caratteri del classicismo; ora voglio presentarvi questa differenza nella parte piú sensibile, la parte tecnica.
L'Abate Gioacchino è in terza rima, l'Errico in verso sciolto. Questa diversitá sembra tutta accidentale; ma sotto di essa è tutta una diversitá nel modo di concepire e di costruire poetico. La terza rima non consente un lungo periodo, in tre versi deve esser chiusa tutta una situazione. Il verso sciolto, ampio, ondeggiante, si accomoda meglio a tutt'i movimenti della vita. L'uno è il metro de' poemi primitivi, giganteschi, direi quasi piramidali: l'altro è metro piú moderno, di tempi in cui l'intelletto è giá adulto, e l'uomo non si contenta piú d'immagini sintetiche. La terza rima è sintesi, il verso sciolto è analisi.
Che cosa è questa sintesi nella terza rima?
È un modo particolare di concepire, proprio di tempi in cui non si ha l'abito di studiare gli oggetti parte a parte, e questi si presentano all'immaginazione come marmo in blocco di cui non si vedono le venature. Piú tardi le venature si cominciano a discernere, si sviluppa un movimento drammatico, nasce il dramma che l'Italia non ha avuto perché lo sviluppo letterario fu spezzato proprio quando il dramma poteva comparire. Se volessimo adoperare vocaboli della filosofia moderna, diremmo che è il divino o l'ideale nella sua immobilità, non ancora calato nella vita, è Beatrice o Laura.
Il verso sciolto è l'analisi, è il drammatico di cui vi ho parlato, il positivo, lo storico; è la generalitá seppellita sotto la pienezza della vita individuale.
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