La terzina nella sua essenza - non quella che ogni poeta, per mediocre che sia, può darvi - dell'essere vi riproduce la muscolatura, le linee generali, lo scheletro; il verso sciolto vi riproduce direi quasi la vita circolativa del sangue, che, arrestandosi o affrettandosi, vi pinge sulla faccia tutte le impressioni intellettuali o morali, tutti gli affetti. La poesia primitiva è poesia di linee o di disegno principalmente, l'altra è poesia del colorito; quella si avvicina piú alla scultura ed all'architettura, questa piú alla pittura, finché si scioglie nel sentimentale, corrispondente alla musica, e diventa lirica.
Stabilita siffatta differenza, poniamoci nella situazione d'un classico; - non giá d'un classico del secolo XIX, perché basta dir questo per capire che costui non potrebbe fare che un lavoro d'imitazione e di arabeschi. Pigliamo uno scrittore primitivo, come Dante, Petrarca, il Montaigne in Francia, che scrivendo in prosa, appartiene alla stessa schiera. Che deve fare uno di questi scrittori quando la sua mente è avvezza a vedere le cose in masso? Quando egli ha veramente potenza artistica, non prende la situazione poetica nel movimento della vita, ma all'ultimo, quando la vita ha giá avuto tutto il suo sviluppo. Capite ora che cosa sono gl'immortali schizzi di Dante ed anche i sonetti di Petrarca. Non è la vita in una serie di movimenti e di gradazioni, è la vita finita. E qual è il segreto di quella poesia? Quando non si può pigliare l'elemento drammatico e si presenta la situazione nel suo punto di arrivo, chi è veramente artista la coglie in una sola immagine; ma una di quelle immagini che vi percotono di maraviglia e vi presentano tutti gli antecedenti, non analizzati, ma in confuso, come appariscono alla mente del poeta.
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