Ti cedea la sua corona.
Graziosa! una parolaOdi, un voto, e me lo adempi:
Una grazia sola solaTu mi presta, e 'l cor me n'empi.
Lassa me! non ne ho nessuna;
Tu n'hai tante! dammene una, ecc.
Qui è l'ideale fanciullesco colto nel vivo, nel vero, e, se questa bella preghiera il Padula l'avesse messa nel Monastero, come preghiera di Eugenia, invece della brutta storia di sua madre e dell'amore terreno di Teresa, avremmo avuto un piccolo poemetto, un canto solo, ma originale per concetto e pieno di que' fiori d'immaginazione di cui l'autore è cosí ricco.
Mi direte: Guardate solo l'idillio, è veramente perfetta questa Eugenia? Si può sbagliare un poema, elementi estranei possono guastarlo; ma quando l'autore vi presenta una concezione originale e la sente e la rappresenta, si dimentica tutto il resto, quella concezione rimane eterna, come l'Ermengarda.
Ma perché il poeta possa rappresentare Eugenia, è necessario soffochi in sé il suo sentimento di uomo adulto: è un'altra coscienza, un altro sentimento. Deve stare rispettoso innanzi a quella fanciulla, pieno della solennitá propria del vero sentimento religioso. Eugenia è una creatura che non vuol essere profanata dai pensieri di altri tempi, di altra vita.
Il giovane autore non la rispetta abbastanza, non è tanto penetrato di quel contenuto da obbiettivarlo, da cancellare dal suo cuore e dalla sua immaginazione quel che c'è di profano, e quando la fanciulla fa quelle domande un po' indiscrete, comunque ingenue, sentite il ghigno dell'uomo moderno che quasi mette in caricatura quell'ingenuitá, quando dice: la semplicetta credeva tutto questo.
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