Quando vediamo un figlio fare strazio del padre a quel modo, è come se la terra si aprisse sotto i nostri piedi: l'incesto ci percuote del sentimento dell'innaturale. Ebbene! leggete e finirete col trovarvi in un mondo abituale. Tutte quelle scene d'orrore sono narrate come i fatti piú comuni; tutto è dipinto con tanta vivacitá di colori, che vi sentite trasportati; vi trovate innanzi alle scene piú terribili con l'immaginazione tranquilla e il cuore calmo.
È che Vincenzo Padula non s'innamora del suo contenuto, non vi si addentra, non lo tratta con serietá: spesso lo tratta non per altro che per dipingere, rappresentare in voluttuosa forma ariostesca tutt'i particolari della sua concezione. Mentre il frate penzola cosí miseramente dal pino, l'autore trova la calma di fare un paragone; mentre Valentino fugge inseguito dai rimorsi, l'autore lo fa parlare e gli escono di bocca i piú incantevoli paragoni.
Quando un poeta si trova innanzi a qualche immagine che oltrepassa l'uomo e la natura, la sua mano trema, gli escono di quei tratti giganteschi di cui Dante è pieno. In quest'analisi raffinata, in questa molle e flessuosa forma non potete sentire quel che di cupo, di solenne, di sintetico sentite nella Divina Commedia. Il Valentino è una concezione infernale calata in mezzo a ciò che di piú grazioso e voluttuoso ha la forma ariostesca.
Almeno Vincenzo Padula ha avuto coscienza di non avere la serietá dell'artista, di essere vuoto artista. Ha compreso che tutte queste sono combinazioni balzane del suo cervello, uscite ne' primi furori della gioventú, ha compreso perché tanta bellezza di forma e originalitá di concezione è stata seguita dall'obblio.
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