Era un poeta da album e da giornale, non fece nulla di serio, nessun lavoro diventò lo scopo della sua vita, scrisse per passare il tempo. Eppure fu detto allora caposcuola, e produsse sui giovani molta impressione.
Maggiore spirito e coltura aveva il Malpica. Pure, leggendo il suo maggior lavoro, l'Appestato, vi par d'avere innanzi il fratello gemello della Madre inglese.
Un napoletano ha il ticchio di lasciare il ridente cielo italiano, - frase tanto comune allora che ebbe quasi ragione il Lamartine dicendo terra di morti l'Italia. Quell'uomo va in Alessandria d'Egitto che, senza vapori e senza ferrovie, pareva il finimondo. Appena giunto, male gliene venne perché fu colto dalla peste. Nel linguaggio di quel tempo, l'appestato era il brutto, e rappresentarlo era sfidare i classici. Infatti, queste cose che ora movono a sorriso, fecero allora drizzare i capelli in capo a molti.
Abbattuto è il corpo e molle,
Torvo acceso il sangue bolle.
Come bollono le areneDel deserto vorator.
Infelice! qual deliroSpalancate ha le palpebre,
Angoscioso è il suo respiro...
Irte avvolte in vel funebre,
Or lo cingono sdegnoseCento larve spaventose.
Or lo aggravan le tenebreDi profonda cecitá.
Questo è il ritratto, la parte plastica, poi, com'è di rito, l'appestato ha il delirio. Prima gli pare di attraversare sabbie, fiumi, poi di rivedere il cielo italiano, appressarsi al suo paese, sentire i gemiti d'una donna, della sua sposa, pel figlio morto, giungere alla casa sua e trovarla abbandonata, vedere lontano un corteo funebre col cadavere della sposa:
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