Che avrebbe potuto essere questa poesia, lo mostra un luogo ove il poeta trova cielo, tende a formare un gruppo in mezzo a stelle disseminate qua e lá, ed č quando parla della grande immaginazione del popolo italo-greco, da cui uscí tutta la mitologia.
... qual fortePopol vi stette, splendido, gigante,
Immaginoso! Eran per lui le nubiPopolate di eterni: alberi, laghi,
Fiumi, boschi, dirupi eran d'arcaneIntelligenze alberghi. Armonďose
Nereďdi quest'acque ivan fendendo;
Fuor da l'intime selve uscian le ninfeAl niveo lume, onde ridea Diana.
Fatidiche cortine ondavan lenteSul limitar de' Delubri; perenni
Ardean le fiamme sul riposto altare.
Ridea l'Olimpo su quest'onde aperto,
O radďante mare, e tu pareviAnfiteatro azzurro, a cui spalliera
Eran verdi colline, ardue montagneGreche, Japige, Sicule, Lucane,
E di Morea le balze; anfiteatro,
Ove fragranti de l'elisia rosaScendean gli eterni a visitar la terra.
Lucenti cocchi ivan per l'aria, ignoteMelodie da quest'onde uscian, rapite
Da' Zefiri fuggiaschi e da' Favoni.
Č il solo gruppo in questa poesia, la sola immagine d'insieme che il poeta ci dá del mondo italo-greco.
Il gruppo č bello, c'č specialmente la scena stupendamente costruita perché presa dal vero: quel mar Jonio che con le montagne greche, japigie, lucane forma come un anfiteatro, dove scendevano gli dei per conversare co' mortali; non si dimentica piú. Ma la scena richiede un'azione, ed č qui il debole del gruppo. Ricordate i gruppi danteschi nel Limbo e il gruppo di Santa Croce ne' Sepolcri di Foscolo.
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