Quella frase liberi pensatori č una rivelazione. Il Cantú parla sempre di libertá del pensiero. Ma guardate un po' che libero pensiero puň essere in quella milizia che vuole l'ubbidienza passiva al suo capo, l'infallibilitá del papa!
Altrove deve parlare di San Carlo Borromeo. Certo fu un sant'uomo, e se Cantú, invece di profanare la storia introducendovi idee preconcette, avesse voluto trasportarsi con la mente proprio nel tempo quando visse il Borromeo, avrebbe potuto riconoscere che pur essendo uomo dabbene, questi poteva fare certe cose stimate allora buone, e che oggi sembrano ridicole ed odiose. Ma no, il Cantú prende tutto quello in senso assoluto.
«Il commercio de' libri sorveglia con cautele, con cautele quali oggidí usa la polizia: non si tengano bibbie volgari, né opere di controversia con gli eretici; senza licenza non si lascino andare i fedeli in terre ereticali, nemmeno a titolo di mercatura o d'imparar lingue; si favorisca in ogni modo il Sant'Ufficio».
Queste erano le istruzioni di quel sant'uomo che fu Carlo Borromeo a' vescovi e argomento al Cantú per tesserne il panegirico!
Il Cantú discorre in altro luogo del Concilio laterano e del tridentino. La gloria del primo, per lui, fu di avere introdotta la censura dei libri proibiti. Scoperta la stampa, piovvero libri d'ogni sorta, ci si mise dentro l'eresia e i preti vollero rimediare. E la censura sarebbe stata rimedio efficace, avrebbe troncato le gambe alla Riforma, reso impossibile lo scisma, se non si fossero opposte passioni sacre e profane, di principi e di papi.
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