Il Cantú si domanda: Di che natura è il contenuto, poniamo del Tasso, dell'Ariosto, del Machiavelli? E risponde: non è religioso perché c'è troppo paganesimo, non è morale perché c'è troppo amore, non vero perché ci sono invenzioni e favole. Dunque, condanniamolo.
Ha fatto del Machiavelli un ritratto come ha fatto quello de' gesuiti, a rovescio però: lí raccoglie tutte le perle, qui tutto ciò che crede biasimevole.
Dice, per esempio:
«Ne' Discorsi insegna (Machiavelli) che l'idea della giustizia nacque dal vedere come utile tornasse il bene e nocivo il male; e gli uomini non s'inducono al bene se non per necessitá; guarda come segno di grandezza della Repubblica romana la potenza delle esecuzioni sue e la qualitá delle pene che imponeva a chi errava».
Ecco i Discorsi del Machiavelli! Ecco come parla d'uno de' libri piú importanti della nostra letteratura. Dove sono le belle pagine contro i conquistatori? Le grandi ricerche dalle quali scaturiscono le ragioni della grandezza di Roma? Machiavelli nelle mani del Cantú non si riconosce, è licenzioso, servile; la sua vita privata, pubblica, di scrittore, tutto è vituperato.
Che diviene l'Ariosto innanzi a questa critica? Volgare accozzatore di fatti, senza ragione e senza coesione, licenzioso, mezzo pagano, - e poi una filza d'osservazioni simili che non han nulla a fare con l'arte.
Colpi alla cieca anche sul Tasso, che pure rappresentò la reazione cattolica, per aver lavorato di fantasia su un soggetto sacro, mettendovi gli amori di Erminia e di Armida, mescolando elementi cavallereschi e cristiani.
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