Colto in quella situazione, rimase fuori del movimento. Gli mancò la serenitá senza cui uno scrittore, filosofo o storico che sia, non s'impone a' lettori. Nervoso e irascibile, la sua natura è stata inasprita dall'isolamento. Tutte le sue opere hanno un certo lirismo, sono scritte con brio, con vivacitá, con spirito, in linguaggio piú da gazzetta che da storia. In mezzo alla narrazione prorompe la parte subbiettiva, giudizi, rampogne. Leggete un po' una prefazione alla Storia che rivolge alla gioventú italiana.
Vuol persuadere i suoi avversari e vedete quali epiteti gentili adopera: pedanti, gaudenti, sofisti, uomini del passato, timide coscienze, ecc. Poi bisogna leggere come spiega questi epiteti. Eccovi un brano:
«Re dell'opinione, fatti proscrittori e tirannelli quando lo cessano i re della forza, intenti a mozzare ogni papavero piú eretto; sicché, non consentendo a un solo due vanti, di chi non possono il talento, ignominiano il carattere; di bestemmia e frivolezza alimentano una loquacitá sentimentale e servile; da fonte sublime traggono ispirazioni vulgarissime; e affannati ad abbattere quel diritto di lá dal quale non resta piú che la violenza, credono guidare mentre sono trascinati, e vestono la maschera di libertá per far questa aborrire coll'abusarne».
Questo non è stile da storia; ma da pamphlet, da satira, da gazzetta. Ed appunto per esso si sente la passione da mille miglia ed il lettore si pone in guardia.
In questi ultimi tempi, pigliando sempre da quello inesauribile arsenale, non potendo convincere gli uomini fatti, ha cercato convincere i giovani con libri da scuola.
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