Ma un sentimento, per qualche tempo potente in un popolo, a lungo andare perde l'efficacia se non trova riscontro nella realtá.
Quel papato, come piú va innanzi piú perde potere, rimane alla mercé della protezione straniera, all'ultimo si riduce alla difesa d'un palmo di terra e ad ingrandire nepoti e parenti. E Campanella immaginava farne l'arbitro di Europa!
E poi, un altro sentimento si faceva strada; un popolo, se non è interamente morto, per qualche tempo rimane inerte; ma poi risorge in lui il sentimento dell'umiliazione. Gl'italiani un tempo si consolavano dicendo: siamo figli di Bruto e di Catone. Poi dissero: abbiamo il papato, siamo alla testa dell'Europa. Anche oggi si sente ripetere quel verso: Regina tornerai la terza volta; e la stessa idea è nutrita anche da uomini molto savii, lo stesso sentimento rimane in fondo al loro cuore. Però sorse man mano un altro pensiero: quando la realtá era sí contraria alle aspirazioni, ed il popolo italiano che doveva essere a capo del mondo non era neppure coda di sé, era naturale si dicesse: pensiamo prima ad essere noi nazione e nazione libera, e quando ci saremo formati, allora sará il caso di vedere se avremo destini piú splendidi, piú bello avvenire.
È un pensiero piú serio, che ha prodotto la reazione del sentimento nazionale contro il sentimento cattolico o cosmopolita ed ha portato l'Italia al punto in cui si trova.
Rosmini nel secolo XIX, quando il sentimento nazionale s'è sviluppato con la sete di avere libertá politica, ed il papato è ridotto all'ultima debolezza, sicché i rivoluzionari di Romagna puntano le armi contro di esso; quando la chiesa è interamente scaduta nella opinione, non riverita, considerata corrotta e degenerata, - Rosmini dunque ripiglia la bandiera di Campanella, un grande papato con una grande Italia.
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