Se vi attendete questo, disingannatevi perché, come vi accennai, avete innanzi un libro arido come di uomo che tratti una tesi filosofica, alto sulle passioni umane, che non voglia fare impressione su altri, né riceva impressioni egli stesso.
Questo è non solo per la natura dello scrittore, ma per le stesse condizioni in cui concepiva quella riforma. Come scrittore, il Rosmini difetta di fantasia e di calore, è analitico, minuto piú che sintetico. Non giá che gli manchi rigore di sintesi, all'ultimo sa raccogliere le sparse fila in una conchiusione; ma prima di giungere lí, vi trovate in un grande sminuzzamento di casi, di regole, di citazioni e di testi che producono ingombro e stanchezza.
Ma oltre questo carattere proprio del Rosmini, sono da notare le condizioni stesse nelle quali concepiva la riforma. Era il 1832. Mazzini era giá potente, la sommossa contro lo Stato pontificio fu opera principalmente della Giovane Italia, che, fin d'allora, mirava innanzi e voleva l'unitá italiana e la libertá piú nella Chiesa che della Chiesa. Le idee precorrevano il Rosmini, e nondimeno egli intendeva che un papa ed i vescovi fossero gl'iniziatori della riforma.
Ora, si concepisce Lamennais quando sfolgora nella sua eloquenza, perché si volge al popolo su cui vuol fare impressione, e da cui attende l'iniziativa. Ma il Rosmini volgendosi al papa ed anche ai principi, non solo non si sforza di essere eloquente od oratorio, ma toglie tutte le punte ai suoi pensieri, ad idee relativamente ardite da forma moderata, e, sopra tutto, molto ortodossa; come uomo che sia su un precipizio, con pericolo di cadere giú e che va riguardoso, passo passo.
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