[Roma, 27 e 28 aprile 1873.]
XIX
VINCENZO GIOBERTI
Decimanona lezione del prof. Francesco De Sanctis.
Nel 1832 Antonio Rosmini scriveva intorno alle piaghe della Chiesa; dieci anni dopo, nel 1842, Vincenzo Gioberti pubblicava il Primato. Nel 1843 videro la luce le Speranze d'Italia di Cesare Balbo, e in quel torno comparve l'opuscolo di Massimo d'Azeglio su' Casi di Romagna. In due o tre anni vedete sorgere ed aggrupparsi una nuova scuola che si può chiamare piemontese, evidentemente legata con la lombarda. Entrambe hanno un fondo comune d'idee che si può riassumere cosí: conciliazione della religione con la civiltá, col mondo moderno.
Ma c'è una differenza. La scuola lombarda rimase puramente letteraria, artistica, romantica e non volse la sua azione a fini politici o sociali.
Un piemontese, Silvio Pellico, appartiene a quella scuola, segue lo stesso indirizzo che Manzoni aveva dato alla letteratura. Silvio Pellico non è piemontese, di quel Piemonte che si rivelò e si affermò piú tardi. Aveva scritto la Francesca da Rimini quando fu mandato allo Spielberg, senz'altro delitto che di aver scritto nel Conciliatore, non essendo egli uomo di azione. Colá scrisse Le mie prigioni; uscito a libertá si dié, come il Tommaseo ed il Cantú, all'educazione e compose i Doveri dell'uomo. Per mostrarvi com'egli abbia la fisonomia della scuola lombarda, eccovi un suo brano:
«Il progresso sociale verrá colle virtú domestiche e colla caritá civile o non verrá in alcun tempo. Lasciamo dunque stare le illusioni della politica, facciamo cristianamente quel bene che possiamo, ciascuno nel nostro circolo; preghiamo Dio per tutti e serbiamo il cuore sereno, indulgente e forte».
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