E si credeva dovesse avere il favore del papa perché anche su lui pesava l'Austria, ed avendo quel programma per base la conciliazione della religione con la civiltá, il papa avrebbe rappresentato gran parte, potendo essere quasi capo spirituale di quell'impresa di cui capo civile e laico sarebbe stato il Piemonte.
I politici piemontesi vollero mettersi all'opera senza aiuto straniero, con le sole forze italiane, assicurando gl'interessi del popolo, de' principi, del papa. Cosí comprendete come le idee puramente letterarie della scuola lombarda, accettate in Piemonte, vi furono volte a scopo politico.
Nella scuola piemontese s'innalzano tre uomini che rappresentano tre partiti, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Massimo d'Azeglio. Il primo apparisce in mezzo a quel nugolo di preti che facevano la corte a Francesco, fratello di Silvio Pellico, finito poi gesuita: giá s'era costituito in Piemonte un nucleo di ciò che poi fu chiamato clero liberale. - Scoppiò la rivoluzione in Polonia: ricordate l'immortale resistenza de' polacchi contro la Russia. Gioberti fin d'allora si mostrava buon prete, buon cattolico, ma ardente, appassionato; parlava alto della rivoluzione, non celava i suoi voti per la vittoria de' polacchi; ed anche in ciò si rivelava cattolico, la Polonia essendo cattolica, la Russia scismatica. Francesco Pellico - si racconta - lo esortava a tacere, ed egli parlava sempre in modo da compromettere sé e gli altri: indizio, questo, del suo carattere.
In Piemonte l'aristocrazia era liberale quanto può essere un'aristocrazia cattolica, istruita.
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