La storia dovrebbe essere cornice e per lui è il quadro, essa chiama la sua attenzione. Il quadro dovrebbe essere la cosa importante, mercé lo svolgimento di una delle piú strazianti situazioni in cui possa trovarsi una donna, eppure per lui è l'accessorio. Teme dargli troppo risalto, perché vuole far predominare la sfida: il fatto particolare è appena abbozzato, rimane nell'ombra. Quelli che parlano della Disfida di Barletta han forse dimenticato Ginevra.
Date in mano al Guerrazzi quel fatto, quel Cesare Borgia che, animato dalla libidine usa tutt'i mezzi per avere Ginevra e con un liquore la fa addormentare e giunge a tenerla nelle sue mani, date quel dialogo fra il carnefice duca e la giovinetta; - e vedreste che uso farebbe di quell'episodio, quante corde ne caverebbe di rabbia, di odio contro la tirannide interna.
Ma al d'Azeglio non premeva tanto la tirannide interna: a quel tempo queste corde non fremevano troppo, si faceva strada il pensiero di fare l'Italia, con la libertá se era possibile e, se no, anche col dispotismo, anche con l'aiuto de' principi, con la conciliazione di tutti gli elementi. Il d'Azeglio, che non volle esser mai carbonaro, apparteneva alla scuola piemontese, era parente di Cesare Balbo, voleva anch'egli fissare principalmente gl'Italiani sul fatto dell'Italia serva dello straniero.
Comprendete quel che di abborracciato è in questo libro ed anche la dissonanza: la cornice chiama tutta l'attenzione ed il fatto particolare è trattato come un incidente, un accessorio.
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