Possiamo conoscere subito dov'č il debole di questo romanzo.
Qual'č la forma del d'Azeglio, non solo in questo romanzo ma anche nel Fieramosca dove perň č piú svelta, piú viva? Per me in arte tutto si riduce a questione di esecuzione: si tratta di vedere come il poeta abbia avuto forza d'incarnare una concezione.
La forma del d'Azeglio nella sua esterioritá č calcata su quella di Manzoni, naturale, spigliata, con tanti modi usati dal popolo, con frequenti dialoghi atti, piú che altro a mettere innanzi il linguaggio popolare. Ma tutto ciň č la corteccia della forma di Manzoni: sotto, in Manzoni, č l'ideale cavato dalle sue nubi, calato nella vita, modificato, variato, con la sua parte di perfezione e d'imperfezione. Da questa grande creazione manzoniana nasce l'accordo fra l'esterioritá e quel che č dentro.
In d'Azeglio č la buccia della forma manzoniana, sotto c'č la rettorica com'era imparata nelle scuole, sparita dalle parole, rimasta nel modo come sono concepiti i personaggi che tutti rimangono fuori della vita, stecchiti, di un pezzo, senza le varietá, le contraddizioni della vita, senza dramma.
Il libro vi dá impressione piacevole, con dialoghi che dilettano, lingua vivace, vicina alla parlata; ma un non so che di freddo e di astratto. C'č la forma, manca la formazione nei caratteri, mancano i contorni, le varietá proprie de' personaggi reali.
Quello che ho detto de' romanzi, devo dire dei quadri di Massimo d'Azeglio, dove trovate grandi idee, graziosi disegni, ma in nessuno la forza di rappresentare nella faccia il carattere, il di dentro.
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