Piú difficile era dire la veritá agli autori dei moti di Rimini senza dispiacerli, biasimare uomini di cui parte era in carcere, altri salivano il patibolo, altri erano esuli, cacciati anche dalla Toscana. Sembrerebbe impossibile mostrarsi duro verso quella gente che espiava cosí quel tentativo. Pure d'Azeglio riuscí a dire la veritá con tale temperanza, che anche i settari non poterono mostrarsi scontenti. Anzitutto, egli mette fuori la setta, fa rilevare che quegl'infelici presero le armi per torsi di dosso gli arbitrii. Tanti padri di famiglia non potevano essersi sollevati per freddo calcolo di cospiratori, ma non avevano piú potuto soffrire quel governo. Non era bello dire a quella gente tribolata di aver pazienza e non suscitare movimenti finché tutta l'Italia non fosse d'accordo, per gli stessi motivi. È bello, diceva Don Abbondio a Federigo, è bello quel che voi dite; ma le ho vedute io quelle facce! Bello dar consigli agli altri, mentre lui, d'Azeglio se ne stava sicuro a Torino. Pure spira in quelle pagine tanta sinceritá, tanta pietá verso gli oppressi delle Romagne, tale sentimento patriottico, da non suscitare rancori e recriminazioni. Con questa polemica temperata ed onesta faceva il suo primo ingresso nella vita italiana il partito moderato.
Paragonate un po' Cesare Balbo e d'Azeglio, le Speranze d'Italia e gli Ultimi casi di Romagna. Vedete subito la differenza. Balbo pel primo parla dottrinariamente di un partito moderato, egli, si può dire lo battezza, pigliando il nome dalla Spagna, dalla Francia di Luigi Filippo ove dominavano i moderati.
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