Ma gli spiriti erano accesi, un ministero democratico dové intimare la guerra; seguí Novara, e d'Azeglio accettò di essere ministro della pace, non avendo voluto la guerra. È un fatto che richiama a mente Thiers, però i Francesi accettarono il trattato di pace in silenzio, i liberali piemontesi non volevano ingoiare la pillola: cominciarono le recriminazioni, si rifiutava la pace. E d'Azeglio compí il suo ultimo atto, il suo testamento politico, dopo il quale rimase in seconda linea, lasciando il posto a un nuovo astro che sorgeva, il conte di Cavour: scrisse il famoso proclama di Moncalieri. Era certo incostituzionale che il re parlasse agli elettori in suo nome e dicesse: Badate a mandare deputati savi, i quali approvino la pace, disposti a secondarmi, non a far novitá, altrimenti! C'era l'ehm! che metteva tanta paura a Don Abbondio. - Altrimenti metterete la Corona in cattiva situazione, bisognerá togliervi lo Statuto. -
D'Azeglio consigliò al re quel manifesto, egli lo scrisse, ne assunse la responsabilitá in una lettera ai suoi elettori: il paese accettò l'invito e mandò deputati moderati, i quali ratificarono la pace: cosí fu possibile nel Piemonte, come avanzo del 48, serbare lo Statuto.
Chi compie di questi atti, deve rassegnarsi a cadere, a non avere piú popolaritá. Massimo d'Azeglio si ritirò a poco a poco dalla scena politica; al 60, quando pareva potesse essere richiamato al governo - specialmente dopo avere aggiunto al Manifesto lo scritto Quistioni urgenti, ove dimostrava che la capitale avrebbe dovuto essere Firenze - si sentí straniero al nuovo ambiente.
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