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      - Si noti però che, come ho detto, Mazzini non escludeva in modo assoluto l'intervento dei principi italiani, e ciò mostra la lettera che, appena esiliato, scrisse a Carlo Alberto e quella che, piú tardi, mandò a Pio IX, e l'altra a Vittorio Emanuele. Quando gli avvenimenti gli mostrano possibile l'alleanza di principi e popoli, voi lo vedete entrare in questa via. Però quando egli pensava a fondare la Giovine Italia, ogni uomo di senno avrebbe detto: è d'uopo tentare l'insurrezione come se l'aiuto de' principi fosse impossibile. - Lasciamo le mezze idee, le questioni di opportunitá e di convenienza, - egli sosteneva, - ogni rivoluzione deve farsi in nome d'Italia, per l'unitá d'Italia, proclamando nettamente la repubblica, escludendo qualunque intervento di forze estranee al popolo. Tutto questo, che oggi forma il verbo mazziniano, non rimase circoscritto nella testa d'un uomo febbrile o d'un pensatore: egli era un pensatore che sentiva e faceva, e su questo programma fondò la nuova associazione la quale subito si diffuse ed ebbe molti sotto-comitati; ed il Campanella a Genova, Farini in Romagna, La Farina in Sicilia, Guerrazzi in Toscana, Carlo Poerio in Napoli, - quantunque per una via tutta sua, i piú eminenti uomini liberali che conta oggi l'Italia, tutti ebbero parte nel movimento.
      Il frutto di questa propaganda c'è stato, e bello. Alle rivoluzioni vergognose del 21 e del 31 successero belle pagine nella storia italiana, il 48, l'insurrezione calabrese, Palermo che intima la rivoluzione a giorno fisso e la fa, le difese di Roma e di Venezia, le resistenze di Bologna e di Brescia, e le ultime avvisaglie di Garibaldi, presagi delle lotte piú gloriose di dieci anni dopo.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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