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      L'Italia piú non cadde se non combattendo, spargendo largamente il suo sangue, meritando le simpatie dell'Europa, dando tal segno delle sue forze popolari da indurre piú tardi principi ed imperatori a tenerle a calcolo e servirsene per costituire l'unitá nazionale.
      Ogni uomo ha in vita un periodo ascendente ed un periodo di decadenza: fin qui la stella di Mazzini ha seguito il cammino ascendente. Fino al 48 egli ha la parte del profeta, fervente, pieno d'entusiasmo, di fede, che infiamma tutti, produce miracoli, spinge al martirio: da quel tempo comincia la sua discesa - e rapida discesa. Parecchi fatti vennero a togliergli molto della sua forza. Fu constatato che non valgono miracoli di popoli contro eserciti bene ordinati e disciplinati: nonostante le eroiche difese, tutti caddero, martiri non vincitori. Un re, il traditore del 21, scendeva spontaneo in mezzo alla lotta e, vinto, vi lasciava la sua corona, piú tardi la vita: accanto al martirio popolare si poneva il martirio Reale. Salito al trono Vittorio Emanuele, egli solo serbò la fede alla costituzione. Infine, a dileguare le ultime speranze repubblicane di Mazzini, ecco Luigi Napoleone diventato imperatore, ed il suo intervento a favore dell'unitá italiana.
      I fatti sono piú forti delle dottrine. Le dottrine mazziniane guadagnarono quanti in Italia amavano la libertá, ma poiché si fu persuasi che solo con un esercito bene ordinato e con l'intervento d'uno Stato forte si poteva far la nazione, avvenne ciò che Mazzini a torto chiamò diserzione, e si cercò di consolidare la libertá giá ottenuta e preparare la libertá del resto d'Italia e l'unitá.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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