Manzoni è artista ed ha trattato la religione da poeta: il poeta vagheggia un ideale, e l'ideale di Manzoni è una religione non corrotta com'è ora, ma ricondotta alla puritá evangelica, alla semplicitá antica. Le sue intenzioni non vanno al di lá de' quadri ch'egli tratteggia, non giungono sino all'azione. Anche nell'artista si poteva desiderare qualche cosa di piú, un po' di ombra e di chiaroscuro, una certa antitesi che desse rilievo alle sue creazioni, opponendo a' quadri di caritá evangelica altri che avessero ritratto la corruzione presente. Appunto queste ombre e questi chiaroscuri rendono cosí potente la parola di Dante. Quelli di Manzoni sono quadri idillici. Come gli uomini talvolta torcono lo sguardo dalla corruttela delle cittá e se ne vanno in mezzo alla pace de' campi, tra Filli e Cloe, cosí Manzoni torce lo sguardo da ciò che lo circonda, e si consola creando quadri e figure di puritá evangelica, notevoli specialmente Federico Borremeo e padre Cristoforo. Ora l'idillio è un godimento estetico, non una azione efficace; come sentiamo piacere degl'idilli di Tasso e Guarini e li applaudiamo, cosí possiamo ammirare questi ritratti senza che abbiano alcuna efficacia sul nostro modo di operare, alcuna influenza su' sentimenti della nazione.
Guardiamo Rosmini. Per lui la base religiosa è piú seria: vuole la riforma ragionevole e temperata della religione, vuole emendar questa senza scuoterne le basi, rendendo democratica la chiesa, come si dice, facendo sí che la gerarchia alta riceva la consacrazione delle elezioni popolari.
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