Chi erano allora i nostri grandi? Queste memorie ispirano una certa malinconia. C'era l'eloquente Poerio, il geografo Ferdinando de Luca, l'economista Cagnazzi, il filosofo e fecondo avvocato Borrelli, Bozzelli piú tardi celebre pel suo libro sull'imitazione drammatica, Carascosa, Pepe, Colletta che poi chiamò l'attenzione con la sua storia. Quanti di essi sopravvissero nella memoria dei posteri? Noi che succedemmo ad essi, abbiamo accolto con venerazione quei nomi nella nostra giovinezza, come nomi degli antesignani della libertá. Ora l'opera è compiuta, e da noi stessi si dileguano quei nomi, e voi giovani avete dimenticato quelli che precedettero gli uomini del 48 e del 60. E di questi ultimi quanti passeranno alla posteritá? Non rimangono nella memoria se non quelli i quali hanno lasciato traccia indelebile per azioni e per scritti. Ed ora dobbiamo appunto domandarci se Rossetti è l'uomo felice che sopravvive a sé stesso, se come poeta ha lasciato qualcosa che lo raccomandi a' futuri, o se dopo breve voga, dopo mezzo secolo, quando le sue poesie giá non si leggono piú, egli sia condannato a cadere nell'oblio come tante altre passeggiere celebritá.
Venne dunque il momento fatale. Riunitosi il congresso di Laybach, Ferdinando I fu invitato a render conto del suo governo. Un articolo della costituzione vietava al re di lasciare lo Stato senza permesso del Parlamento. Nel Parlamento napoletano ci fu una discussione vivissima. Molti, quasi presaghi di ciò che sarebbe avvenuto, dicevano: - no, non si lasci partire; una volta in mezzo a quelli, ci tradirebbe.
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