La moltitudine allora si volse a Rossetti, ed egli improvvisò un sonetto, col quale si volgeva al re e gli poneva innanzi la Spagna in rivoluzione e la folgore che abbatte i troni de' tiranni:
Sire, che attendi piú? giá il folgor piomba...
O il tuo regnar col popolo dividi,
O sul trono abborrito avrai la tomba.
In quel punto giunse il re, pronunziò quel giuramento che poi doveva disdire, segnando fin d'allora la caduta della sua famiglia.
Venne poi la reazione col suo celebre ministro Canosa. Primo fra i perseguitati il poeta, cagione il sonetto, dimenticate le lodi a' Borboni, il merito d'aver mantenuto l'accordo fra il popolo e l'autoritá.
Dové la sua vita ad un amico che lo tenne nascosto sotto la volta d'una cantina per tre mesi, ed alla pietá d'una signora inglese, che leggeva i suoi versi, la quale gli procurò mezzi di recarsi a bordo di un vascello.
Lá comincia la seconda vita di Rossetti, - esce dal va e vieni la sua fantasia e piglia risolutamente il suo sentiero. Sul ponte del vascello scrisse una poesia ch'era una scomunica del re bella e buona, con tanto maggiori imprecazioni, quanto maggiori erano state le lodi e la fiducia. Il papa allora scomunicava i Carbonari, il re li metteva fuori della legge, e Rossetti alla sua volta, trasformatosi in pontifex maximus, scomunicava la casa Borbone.
Andò a Malta, dopo due anni se ne andò a Londra, e, passando dirimpetto a Napoli, le rivolse una commovente poesia:
Addio gentil Partenope,
Addio per sempre, addio!
Fu quello l'ultimo addio.
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