Se al suo piè si fe' la tanaMostro reo che assalta e sbrana?
E continua: Ci fu un Giove - Napoleone - che volle atterrarla, le dié un colpo e poi ristette, ma se ne pentí amaramente; e conchiude:
Pianta rea, che all'ombra infidaDái ricetto al cieco errore,
Tu sei l'albero che annidaIl serpente insidiatore;
Maledetto ogni tuo pomoChe produce il mal dell'uomo!
Ahi, che all'uggia sempre brunaChe vien giú da quelle fronde,
Nuova Circe i proci aduna,
E li cambia in bestie immonde;
Indi inebria quelle fiereCon la tazza del poter!
Sceglie poi le ingorde arpieE le invia con cenno altero
A compir le sue malieDentro e fuor del turpe impero, ecc.
C'è qui niente che mostri un poeta che vuol mettere lo stigmate nella fronte d'un governo il quale aizzava una classe contro l'altra e fomentava gli eccidii delle popolazioni? Che potete sentire quando l'autore vi raffredda con tante immagini?
Seguitando in quella forma simbolica, la sua fantasia a poco a poco si accende e dá fuori una visione - altra forma scritturale: - fra nembi e tempeste appare Sobieski che salvò Vienna dai turchi, pentito come Bonaparte di averla salvata: quegli è accompagnato da tutti i polacchi, questi da tutti gli italiani, si uniscono, l'aquila slava e l'aquila latina si precipitano sul mostro uscito dall'inferno il quale rimane estinto - dice Rossetti, sotto la spada dei Sarmati e degli Ausoni. - Ciò che poteva essere d'importante nell'idea dell'unione della Polonia con l'Italia, circondato da forme cosí poco naturali, cade nel freddo e nel ridicolo.
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