La letteratura d'Italia è un pingue fedecommesso. Bella e fatta l'hanno trasmessa a noi i padri nostri. Né ci stringe altro obbligo che di gridare ogni dí trenta volte i nomi e la memoria de' fondatori del fedecommesso, e di tramandarlo poi tal quale a' figli nostri, perché ne godano l'usufrutto e il titolo in santa pace».
E finisce con una botta ai puristi ed ai classici:
«E tu, allorché uscirai di collegio, preparati a dichiararti nimico d'ogni novitá; o il mio viso non lo vedrai sereno unquanco. Unquanco, dico; e questo solo avverbio ti faccia fede che il vocabolario della Crusca io lo rispetto; comeché io, conciossiaché di piccola levatura uomo io mi sia, a otta a otta mal mio grado pe' triboli fuorviato avere, e per tal convenente io lui, avegna Dio che niente ne fosse, in non calere mettere parere disconvenire non ardisco».
Quando scriveva Berchet, non erano comparsi né i Promessi Sposi, né le Mie prigioni. Fu il primo ad esporre quelle idee in forma popolare, in lingua corrente e con tanta moderazione. C'è dunque, nella sua lettera molto da renderla importante.
Che cosa le manca, sicché rimarrá solo come curiositá, non come un lavoro d'arte? Le manca quel rilievo della forma, che la imprigiona e le dá de' caratteri tali da farla rimanere impressa nella mente del lettore. È scritta un po' currenti calamo: allo stesso modo l'autore scrisse alcuni articoli nel Conciliatore notevole fra gli altri uno in cui attribuiva alle signore romantiche milanesi molti spropositi sul romanticismo, scritto con certo spirito.
| |
Italia Crusca Dio Berchet Promessi Sposi Mie Conciliatore
|