E gli articoli e la lettera si possono ricercare da chi voglia fare un buono studio di Berchet, ma a' posteri non ne passerá nulla.
Domanderete: Berchet ha scritto poesie romantiche? Sí; mentre combatteva nel Conciliatore, volle aggiungere alla dottrina gli esempi. Quando Grossi lavorava all'Ildegonda, egli compose il Cavaliere bruno, novella in ottava rima che non compí, sentendo forse non averne la forza - i Visconti, e infine la piú importante, quella che piú si avvicina al nuovo genere al quale si volse dopo, il Castello di Monforte, in cui troviamo il primo esempio di quei decasillabi che adoperò con tanto splendore nell'Esule di Parga. La forma romantica c'è, gli argomenti son presi da leggende e tradizioni, la forma è mescolata o, come egli dice, epico-lirica; ci sono tutte le novitá. Ma codeste poesie sono come quel suo cavaliere che all'improvviso vide mutarsi la testa in teschio, il corpo in scheletro. C'è lo scheletro della forma romantica, manca ancora l'ispirazione e il movimento che dovrebbe coprirlo di carne, dargli colore e farne cosa viva. Ancora è imitazione di pure forme, fatta a tentoni, né vi si sente l'io, il poeta.
E sempre l'io? Un uomo che la natura ha creato artista davvero, non ha bisogno di essere spinto dalle passioni a produrre. Manzoni, per esempio, innanzi a Carmagnola, innanzi a Renzo e Lucia si scalda; quelle carni diventano il suo mondo, non vede niente fuori di esse ed ei le tratta come cosa sua. Diverso è l'artista d'occasione, l'artista du quart d'heure, il quale per essere artista ha bisogno di sentire le punture della passione.
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