Comincia la corsa. L'amante dice: - Ti condurrň meco
«vieni, succingiti, spicca un salto e gettati in groppa al mio morello. Ben cento miglia mi restano a correre teco quest'oggi per arrivare al letto nuziale. - Oh cielo! e tu vorresti in questo sol giorno trasportarmi per cento miglia fino al letto nuziale? Odi come romba tuttavia la campana: le undici sono giá battute. - Gira, gira lo sguardo. Vedi, fa un bel chiaro di luna. Noi e i morti cavalchiamo in furia. Oggi, sí quest'oggi, scommetto che ti porto nel letto nuziale. - E dov'č dimmi, dov'č la cameretta? E dove, e che letticciuolo nuziale č il tuo? - Lontano, lontano di qui... in mezzo al silenzio... alla frescura... angusto... Sei assi... e due assicelle... - V'ha spazio per me? - Per te e per me. Vieni, succingiti, spicca un salto e gettati in groppa.»
Sentite giá tutto il freddo che viene dall'equivoco terribile: le sei assi con le due assicelle sono la bara. E la corsa com'č descritta? L'autore vi consacra otto o dieci strofe. Uno scrittore classico descriverebbe il chiaro di luna, le stelle, i luoghi per cui passano i due amanti, e farebbe una descrizione magnifica, cioč una cosa tutta convenzionale. Qui č un motivo solo: sono certe frasi che tornano sempre accompagnate da una nuova, la quale indica il progredire della corsa, l'andar sempre innanzi. Qual č il motivo?
«Arri, arri, arri! salta, salta; e l'aria sibilava rotta dal gran galoppare. Sbuffavano cavallo e cavaliere, e sparpagliavansi intorno sabbia e scintille.
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