«Ogni cosa che la luna illuminava d'intorno, deh come ratto fuggiva alla lontana! Come fuggivano e cieli e stelle al disopra di lui.»
E sempre il ritornello: hai paura de' morti?
Ecco ciò che si può chiamare la forma di questa poesia.
È forma bella, perfetta? Se dovessi dirvi le mie impressioni, noterei che c'è qualche cosa di manierato e di affettato: si vede una forma congegnata a priori in tutti quei motivi e ritornelli troppo frequenti: qui è la linea che separa i poeti di second'ordine da Goethe, per esempio, il quale rappresenta molte leggende tedesche con severa e divina semplicitá. Qui c'è alcunché d'industria, sí che non possiamo accettar tutto come naturale. Ma alla forma compassata de' classici, Berchet poteva opporre i lineamenti generali di questa, che sono i lineamenti d'una letteratura nuova, la quale oggi attende ancora in Italia chi si faccia a riprodurla.
Veniamo ora al Berchet che lascia Milano e prende la via dell'esilio. Finora ha rovistato leggende tedesche, ha cavato i suoi soggetti dal Medio evo, ha discusso di forme romantiche, si è perfezionato nei metri, ha composto romanze e ballate: tutti esercizii letterari nei quali non è ancora niente che si mova e viva. Esule, entra nel suo petto un uomo nuovo, - l'amore della patria, l'odio per lo straniero, il pungolo dell'esilio, il dolore della miseria, e poi uscire dallo stato di compressione di Milano, essere libero ed avere il piacere di dire ciò che si vuole; - sotto queste nuove impressioni Berchet compone i Profughi di Parga.
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