E la Clarina, che è?
S'ode un suono di dolor!
Qui è tutta lei; non parla punto; è il poeta che ne indovina gli affetti e ne fa la storia. E qual'è la fine di questa romanza, cosí concitata in bocca all'autore?
È Clarina co' suoi rêves, malinconicamente assisa sotto i pioppi della Dora.
Qui Gismondo, - il dí fatale,
Scansò l'ira de' tiranni;
Di qui mosse: e il tristo valeQui Clarina a lui gemé;
E qui a pianger vien gli affanniDell'amante che perdé.
Piú fermezza di consiglioAhi, non ha la dolorosa!
Fra le angosce dell'esiglioLunge lunge il suo pensier.
Va perduto senza posaDietro i passi del guerrier.
Che cosa pensa? Di che si duole? Non lo dice: finisce in una forma tranquilla di dolore senza malinconia.
E guardate quel viaggiatore che col tripudio del pensiero si prepara a vedere l'Italia, e ad un tratto si ode dire:
........MaledettoChi s'accosta senza piangere
Alla terra del dolor.
Quest'altra romanza cosí piena d'imprecazioni, come finisce?
Ai bei soli, ai bei vigneti,
Contristati dalle lagrimeChe i tiranni fan versar,
Ei preferse i tetri abeti,
Le sue nebbie, ed i perpetuiAquiloni del suo mar.
Sempre forma tranquilla: Giulia, la madre che nel giorno della leva aspetta la sorte del figlio, in mezzo ad una folla spensierata e semplicemente curiosa
Non bassa mai 'l volto, nol chiude nel velo,
Non parla, non piange, non guarda che in cielo.
Non scerne, non cura chi intorno le sta.
E quando viene quel colpo di fulmine che ella si attendeva meno, quando sente pronunziare il nome del figlio, sotto quale forma è annunziato codesto che pure basterebbe ad atterrare una donna?
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