Una è meno perfetta, è la pace di Costanza.
Egli descrive minutamente le grige guglie, la laguna, le case e le finestre coverte di fiori, la moltitudine festante, gli ambasciatori delle cittá italiane nelle loro prolisse cappe, i quali cantano la vittoria, e narrano la battaglia, la fuga dell'imperatore, lo spavento della consorte che lo aspetta per tre giorni e lo crede perduto. Tutto è irto di descrizioni, perché l'anima trabocca fuori e quasi si adagia su quanto descrive. - L'altra poesia è piú perfetta: è all'ultimo, quando vaniscono tutte le forme e rimane solo il poeta, il quale sogna di tornare in Italia, alla sua cara Milano. Sogna di rivedere que' luoghi che aveva lasciati fuggendo, quelle campagne dove tante volte era andato a caccia, que' gruppi in mezzo a' quali s'era trovato, e il sole d'Italia, l'alba, la rondine:
Come la vispa rondine.
Tornata ov'ella nacque,
Spazia sul pian, sul fiume,
Scorre a lambir fin l'acque,
Sale, riscende, librasiSu l'indefesse piume,
Viene a garrir nei portici,
Vola e garrisce in ciel...
e con la rondine l'ape che s'indugia intorno a un fiore,
Com'ape fa indugevoleCirca un fiorito stel.
Che dire del passaggio divino che segue, quando la gioia del ritorno a poco a poco si muta? Egli guarda nelle campagne, fuori Milano, vede gli agricoltori i quali
Recan le facce stupideChe il gramo viver tigne;
Scalzi, cenciosi muovonoSul suol dell'ubertá.
Ma non vi si arresta perché impaziente di correre a Milano, di essere in mezzo a' cittadini; giunge, ed allora, ricevuta una impressione terribile, tristamente sclama:
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