Questi due toscani vi rappresentano due forme della vita nuova, il classicismo resistente all'onda delle nuove idee; e l'abbandono all'impeto della propria personalitá. Cominciamo da Niccolini. Fu quasi coetaneo di Manzoni, - poiché nacque a Pisa nel 1783 ma menò quasi tutta la sua vita a Firenze. Dicono che in gioventú ebbe il vantaggio di ammirare e conoscere Foscolo, e diventare suo amico. A diciannove anni aveva compiuto i suoi studi: allora i giovani uscivano dalle scuole per tempo, oggi ci vogliono ventisette o ventotto anni per essere qualche cosa. I giovani si lanciavano subito in mezzo al pubblico con qualche lavoro per farsi conoscere e dar pruova di sé. E Niccolini compose una tragedia, Polissena. Il titolo giá vi dice che essa era calcata sui modelli di Eschilo, di Sofocle, di Euripide, sui modelli del teatro greco, con quella maniera di concepire e di rappresentare. A Firenze, qual'essa era allora, parve cosa miracolosa, l'Accademia della Crusca ne fe' dare lettura e premiolla come la migliore di quel tempo. Chi ora ricorda piú la Polissena, non ostante l'aureola di celebritá, di cui circondolla l'Accademia?
Incoraggiato dal primo successo, Niccolini continuò i suoi studi di latino e di greco e, tratto tratto, dava fuori imitazioni ch'egli chiamava tragedie, come l'Agamennone, la Medea, - nella quale ultima sentite l'impronta di Metastasio: Niccolini era grande ammiratore del genere metastasiano.
Fin qui vedete un uomo profondato negli studi del mondo greco-latino, che ha acquistato un'estesa coltura classica e ne ha fatto il fondamento della sua educazione; ma in mezzo a movimenti politici e religiosi cosí impetuosi, - come furon quelli co' quali cominciò il secolo XIX, - si sente come straniero.
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