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      Non scorgete ancora in lui orma di sentimenti politici o di simpatie religiose, nessuna eco del mondo esterno. Niccolini è tutto assorto nella sua vita intellettuale, è giá professore di storia e di mitologia nell'Accademia di belle arti - piú tardi diventa conservatore d'una biblioteca - è accademico della Crusca, scrive intorno alle arti belle ed agli scrittori classici, compone iscrizioni alla classica, come Giordani: l'ambiente esterno non ha alcuna presa su lui.
      Intanto comincia un certo movimento nel suo spirito. Giá erano pubblicati gl'Inni, Tommaso Grossi era comparso sulla scena, gli studi storici venivano in voga, d'oltr'Alpi ci piovevano scritti francesi, inglesi, tedeschi. - Niccolini conosceva quelle lingue e potè essere al corrente di quelle pubblicazioni. Nel 1816 aveva tradotto i Sette a Tebe, che fecero un po' di rumore, soverchiato subito dalla fama cui si levò la traduzione di Bellotti. La prima spinta a qualcosa di nuovo nell'animo di Niccolini, la dette l'esilio di Napoleone a Sant'Elena. Nel 1819 egli dié fuori il Nabuccodonosor, che ricorda, fino ad un certo punto, l'Aiace di Foscolo, e mostra la impressione che su lui, giovane, Foscolo aveva prodotta. Quella è una curiosa tragedia, i tedeschi la direbbero tragedia in maschera, perché i personaggi antichi rappresentano la storia di Napoleone. Nabuccodonosor è Napoleone stesso, Vasti è madama Letizia, Amichi la moglie di Napoleone, e c'è Mefrane, sacerdote assiro, che rappresenta Pio VII, un certo Asfene corrisponde a Colembourg, il celebre amico e confidente di Napoleone; ed all'ultimo comparisce Arsace, qualcosa di simile al marchese di Posa, che rappresenta Carnot, colui che fu chiamato l'organizzatore della vittoria, ed al quale si attribuisce l'idea di voler avvisare e frenare Napoleone.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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