E ce l'avete detto in modo crudo!
Ed avevo ragione, perché la critica in Italia è sí vaga che mentre Berchet è chiamato poeta da chitarra, Niccolini è innalzato alle stelle. Almeno, aggiungerete, vogliamo ripigliare il giudizio, vogliamo vedere cosa sia quella correzione impotente che non produce impressione. - Ed io prenderò le piú vantate tragedie di Niccolini, l'Arnaldo da Brescia e il Giovanni da Procida, e ve ne farò breve analisi.
[Roma, 10, 11 e 12 maggio 1874.]
XIII
GIAMBATTISTA NICCOLINI
Tredicesima lezione del prof. Francesco De Sanctis.
Che cosa era dunque Giambattista Niccolini? L'abbiamo visto, era un classico, eco della classica Firenze; ma un classico avvolto nel mondo moderno, penetrato di tutte le impressioni della letteratura che circondavalo, non indifferente al movimento della scuola lombarda tutta romantica, e, quindi, rimanendo classico, desideroso di porsi a contatto della vita contemporanea. La quale non giunge a trasformarlo e renderlo uomo nuovo, perché, come vi dissi, quando la coltura è fatta, quando le tendenze sono determinate, se l'uomo non è un genio, non si trasforma piú. Niccolini credé essere quell'uomo nuovo, conciliando le nuove dottrine con le antiche. Ne' suoi scritti critici trovate in fondo Aristotile, Orazio, la scuola classica e insieme altre teorie, come per esempio il dire che il romanticismo è antico quanto il classicismo; altre teorie che sono mezzi termini, concessioni allo spirito del tempo.
Ed ora noi prenderemo ad esaminare due delle sue piú celebrate tragedie, quelle che anche da benevoli critici stranieri sono stimate le piú perfette, e che a lui hanno procurato il nome di primo tragico italiano presso i suoi ammiratori.
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