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      Si capisce perché poi i popoli, i quali sono il senso comune, hanno sempre riverito quegli uomini come veri precursori, perché, lasciato il concreto de' loro concetti, dov'è il falso, non videro se non i principii i quali sono divenuti la coscienza ed il sentire moderno.
      Niccolini ha veduto tutto questo, ha saputo scernere una cosa dall'altra? E se noi troviamo un ridicolo uomo di Stato in Arnaldo, ci troviamo almeno il precursore, l'uomo superiore allo Stato concreto in cui si trova e che intravede l'avvenire?
      Lasciamo i particolari. Niccolini stesso piglia sul serio quella libertá alla romana e la religione evangelica, e quindi parla continuamente contro la corruzione ecclesiastica, ciò che oggi è luogo comune. Dunque non c'è nell'Arnaldo materia, onde possa nascere una tragedia, né materia perché in una tragedia falsamente concepita, s'innalzi l'immagine lirica d'un profeta che guarda al futuro. Egli rimane incerto tra due concetti, tra quello che fa e quello che pensa. Trovate il vago, l'indefinito nella mente dell'autore, e quindi assoluta mancanza di caratteri, perché i caratteri suppongono obbiettiva chiara e compiuta.
      Pigliate, per esempio, il popolo romano, il popolo che comincia col voler saccheggiare le case dei patrizi e che grida: al Campidoglio!, il popolo atterrito dall'interdetto, che vede i tedeschi penetrare nelle mura della cittá e li combatte, e grida: viva chi vince! Voleva veramente Niccolini farci sentire che c'era un uomo e mancava un popolo? Ma avrebbe dovuto, con franchezza e coraggio, svelare che era quel popolo.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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