Camminavano per un sentiero tracciato fra le stoppie; la luminosità della sera rendevasi sempre più rosea e vaga; qua e là fra i cardi fioriti di grandi stelle violette si udiva il trillo di qualche grillo che taceva un momento al passar dei due amici.
- Eppure io qualche volta ti ho invidiato, - disse Efes che precedeva Antonio, - dicevano che facevi carriera, che ti divertivi -. Antonio lo guardò alle spalle e non rispose. L'altro volse un po' il capo, e disse, esitando:
- E del resto non ti sposi con una ragazza bella e ricca e che ami? -. Antonio gli fissò gli occhi in volto, con uno sguardo d'odio, ed ebbe voglia di battergli il bastone sul capo. Ah, egli era venuto per dimenticare, per non sentire più nella solitudine dell'altipiano, quel nome, quella cosa che lo straziava, ed ecco che lo spettro sorgeva ancora.
- Io non mi sposo! - disse.
Il suo volto s'irrigidì, gli occhi presero tale espressione d'indifferenza che il Mulas si sentì quasi offeso. Proseguivano a camminare silenziosi: Antonio tolse il cappello e lo mise sulla punta del bastone tenendolo alto. Era agitato, nervosissimo; avrebbe voluto prendere qualche cosa e spezzarla coi denti.
In quel punto sopraggiunse una fanciulla paesana, sottile, pallida, con grandi occhi neri, la fronte un po' bassa e il profilo pronunziato, ma soave e purissimo.
Secondo il costume del paese teneva un corsetto di panno giallo e la gonna corta. Sul capo coperto da un gran fazzoletto di lana, scuro, recava un involto. Andava svelta e rapida come una gazzella, e questo fu appunto il paragone che fece il Mulas nel fermarsi a guardarla con avidi occhi.
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Efes Antonio Mulas Antonio Mulas
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